Rapporto Crea: 2 milioni di italiani rinuncia alle cure. E la spesa privata aumenta

Rapporto Crea: 2 milioni di italiani rinuncia alle cure. E la spesa privata aumenta

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Simona Regina

Perché ne stiamo parlando
Il Ssn è in crisi. A rischio il diritto alla salute: 380.000 famiglie si impoveriscono per curarsi e oltre due milioni di persone rinunciano alle cure. Servono almeno 40 miliardi, ma le risorse scarseggiano. È quanto emerge dal nuovo Rapporto Crea Sanità che analizza i principali dati che descrivono il sistema sanitario italiano.

In Italia 380mila famiglie si impoveriscono per curarsi e oltre due milioni di persone rinunciano alle cure. Sono alcuni dei dati che evidenziano la crisi del nostro Servizio sanitario nazionale, istituito nel 1978 su tre principi fondamentali: universalità, uguaglianza ed equità. Per risollevarlo servirebbero almeno 40 miliardi e sono necessarie scelte precise, anche politicamente scomode.

Lo denuncia il ventesimo Rapporto Sanità realizzato dal Centro per la ricerca economica applicata in sanità (Crea), promosso dall’Università di Roma Tor Vergata e dalla Federazione Italiana Medici di Medicina General e presentato in un evento a Roma dal titolo “Manutenzione o trasformazione: l’intervento pubblico in sanità al bivio”.

Servono risorse

«Oggi l’Italia è il più ricco dei Paesi UE “più poveri”. Il livello di spesa sanitaria pubblica è inferiore del 44% circa rispetto ai Paesi della prima Europa. E per allinearsi agli standard europei bisognerebbe incrementare la spesa sanitaria dell’11,3%, parliamo quindi di 20 miliardi. Ma ne servirebbero almeno altri 10 per allineare gli organici. E la cifra raddoppierebbe per riallineare anche le retribuzioni a stipendi degni dei confronti internazionali». Ma si tratta di una cifra lontana dalle possibilità di finanziamento reali, considerando che anche altri capitoli di spesa, in primis l’istruzione, sono ancora sotto finanziati.

Lo ha evidenziato Barbara Polistena, direttrice scientifica di Crea Sanità e docente all’Università di Roma Tor Vergata, sottolineando come oggi la carenza di personale sia una delle principali criticità: l’organico è insufficiente e pagato male.

«Nel comparto infermieristico c’è carenza di vocazione, nel comparto dei medici difficoltà nel trovare personale, soprattutto per le posizioni più disagiate e complesse». Ed è venuto meno il patto di fiducia con i cittadini, che «vivono il forte disagio legato alla difficoltà di accesso al sistema, alle lunghe liste di attesa, ecc.».

Oltre 2 milioni di cittadini rinunciano alle cure 

Il sistema è in crisi e a farne le spese sono proprio i cittadini che, per curarsi, pagano sempre più di tasca propria o rinunciano alle cure, in contrato con quel principio fondante del nostro Ssn universalistico che è l’equità. «La spesa privata ha raggiunto quasi 43 miliardi di euro, mentre circa 2,4 milioni di cittadini rinunciano del tutto al consumo sanitario per motivi economici». 

E circa il 20% della spesa privata – che in generale è più alta al Nord rispetto al Sud – è a carico di persone che hanno difficoltà economiche: «parliamo della popolazione meno abbiente che non sostiene consumi non necessari». Insomma, «difficile pensare che siano tutte prestazioni inappropriate» ha osservato Polistena ricordando, per esempio, che «oltre 2 miliardi sono spesi per farmaci di classe A».

A fronte della spesa sanitaria privata in continua crescita negli ultimi cinque anni («sta crescendo il ruolo dei fondi sanitari integrativi»), i finanziamenti non reggono il passo con le necessità e le compatibilità macroeconomiche. «Nonostante dal 2014 il fondo sanitario nazionale sia cresciuto di 24 miliardi (2% medio nominale annuo) e nel triennio post Covid ci sia stato un finanziamento integrativo importante, in termini di incremento reale il finanziamento si è ridotto (-1,5% nel 2021-2024)».

Altro dato rilevante che emerge dal Rapporto è l’«incapacità del sistema fiscale di garantire una prova dei mezzi, essenziale per un welfare equo». L’onere del finanziamento della sanità si concentra sul 20% della popolazione, «e questo vuol dire che l’80% della popolazione non versa abbastanza da compensare la sua quota di copertura Ssn». In altre parole, versa meno del valore dei servizi sanitari che (in media) riceve dallo Stato.

D’altro canto si evidenzia che oltre 3,4 milioni di persone (cioè 1,6 milioni di famiglie) in Italia sperimentano un disagio economico dovuto alle spese sanitarie. Disagio che spacca il paese: perché «le regioni del Sud sperimentano più disagio con la spesa privata e non riescono a far fronte alle difficoltà di accesso».

L’equità è una chimera

Di fatto, ha evidenziato Polistena, in 40 anni di Ssn l’equità rimane una chimera, le liste di attesa sono una barriera soprattutto per i pazienti più deprivati, 380.000 famiglie si impoveriscono per curarsi e 2,3 milioni di nuclei familiari sostengono spese sanitarie che l’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica come catastrofiche, ovvero elevate rispetto al reddito familiare, mettendo a rischio la capacità di soddisfare altri bisogni primari.

E allora, a fronte di questo quadro, di una carente e perdurante incapacità del sistema di garantire i Lea secondo le aspettative della popolazione e di farlo in condizioni di equità, e in mancanza di risorse sufficienti, se mai fossero una soluzione risolutiva – ha puntualizzato Federico Spandonaro, presidente del Comitato scientifico Crea Sanità – si deve agire affinché il Ssn possa continuare a rappresentare la garanzia di disporre di una copertura pubblica universale per i rischi da malattia. «Ma per riallineare aspettative e promesse ai bisogni e alle risorse disponibili e alle compatibilità macroeconomcihe bisogna ripensarlo. Serve una nuova visione. Servono soluzioni radicali. Dobbiamo cercare di far germogliare una fase ricostituente del Ssn».

Fondamentale, si legge nel Rapporto, una democratica condivisione dei principi a cui ci si vuole ispirare e darsi delle priorità, a fronte di risorse aggiuntive limitate se non nulle e di possibili recuperi di inefficienze importanti ma non risolutivi, per evitare razionamenti che penalizzino la popolazione più fragile.

Manutenzione o trasformazione?

È possibile procedere con manutenzioni, seppure straordinarie, o è arrivato il momento di affrontare una radicale trasformazione del nostro sistema sanitario? 

A questa domanda hanno risposto in conferenza i già ministri della Salute Renato Balduzzi (2011-2013), Rosy Bindi (1996-2000), Maria Pia Garavaglia (1993-1994), Giulia Grillo (2018-2019), Girolamo Sirchia (2001-2005) e Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva, Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo e Renato Brunetta, presidente del Cnel.

Brunetta: l’universalismo non è sinonimo di equità

«Si è detto che mancano 40 miliardi per stare al passo con gli altri Paesi europei, ma da economista – ha commentato Brunetta, presidente del Cnel, che ha ospitato la giornata di lavori – dico che la sostenibilità si può misurare anche in altri modi». Primo fra tutti, l’appropriatezza dei bisogni: «Perché considerare appropriati farmaci manifestamente inutili?» ha detto riferendosi all’omeopatia.

Da non sottovalutare poi il peso della cultura e della formazione: «Quanto costa la mancanza di cultura? Parte dei fabbisogni di cure e di farmaci è legata ai cattivi stili di vita, a cui più che rispondere con più spesa, più medici, più posti letti, ecc. serve rispondere con un’adeguata educazione».

Allora manutenzione o trasformazione? «Certamente manutenzione, che è la sublimazione dell’intelligenza umana. Ma abbiamo bisogno di una trasformazione dal punto di vista culturale e, come diceva Lord Kelvin, quello che non si può misurare non si può né governare né migliorare. Dobbiamo partire da qui».

Balduzzi: necessario un confronto politico sulla sanità

«Il sistema è sostenibile nella misura in cui lo vogliamo tale. Ventitre anni fa, nel Rapporto Romanov, i canadesi, che hanno uno dei pochi sistemi sanitari che abbia affinità con il nostro, risposero così alla domanda “è sostenibile il sistema?” e la risposta è ancora attuale».  Così Balduzzi ha sottolineato che un sistema sanitario è sostenibile tanto quanto un Paese decide che lo sia. In altre parole, è sostenibile ciò che responsabilmente e consapevolmente la classe politica, espressione della collettività, vuole che sia tale, adoperandosi di conseguenza per trovare un equilibrio fra salute e sanità. «C’è la necessità di una volontà politica condivisa, di ragionare in termini di coesione politica, che non vuol dire partitica, come fecero Tina Anselmi e Vittorino Colombo che diedero vita alla madre delle riforme sanitarie, la Legge 833».

Bindi: non abbiamo l’80% di incapienti, prioritaria la lotta all’evasione fiscale

Di fronte al dilemma manutenzione o trasformazione, Rosy Bindi ha detto chiaramente che nessuna trasformazione dovrebbe essere contemplata se rinnega i principi fondamentali della 833.

E ha aggiunto: «Questo nostro amato Paese che è la settima potenza industriale del mondo, che partecipa al G8 e al G20, non può permettersi di essere il primo della fila dei Paesi in cui sanità e istruzione sono all’ultimo posto della scala delle priorità». Ricordando al contempo, «visto che c’è chi ipotizza l’uscita dall’OMS, che la salute dell’Italia non dipende solo dal suo sistema sanitario nazionale che, comunque, ancorché sotto finanziato, occupa ancora i primi posti al mondo».

«In Italia il 40% di cittadini soffre di cronicità, e questo significa che alcune scelte fondamentali fatte nel ’78 e rinnovate alla fine degli anni ’90 vanno portate all’attuazione piena e non messe in crisi». E in questo senso ha ribadito che «il rapporto livelli essenziali-appropriatezza-finanziamento non può essere scisso». E cioè, «i livelli essenziali devono essere finanziati in nome dell’appropriatezza ed efficacia per la singola persona in quel determinato contesto. Questa è la vera economia sanitaria, non i tagli».

Bindi ha ricordato un altro principio fondante del sistema universalistico: «ciascuno usufruisce del servizio secondo le necessità e contribuisce in base alla propria disponibilità». E riferendosi al dato emerso dal Rapporto Crea – l’onere del finanziamento della sanità si concentra sul 20% della popolazione – ha detto: «non abbiamo l’80% di incapienti. Questo dato evidenzia la fragilità del sistema fiscale di questo Paese: la lotta all’evasione è e deve essere una priorità».

E ancora: «Il Ssn ha bisogno di uniformità. Ministero e Governo devono riprendere ad avere una guida nazionale dei vari sistemi regionali: questa non è manutenzione, ma una scelta politica seria».

Garavaglia: serve un’unica regia per il sociale e il sanitario

A proposito di sostenibilità del Ssn, Garavaglia ha ricordato la recente sentenza della Corte costituzionale che ha ribadito che il finanziamento alla sanità è prioritario anche in un contesto di risorse limitate ed esigue.

«Ci sono principi e funzioni della Legge 833 che vanno mantenuti perché all’avanguardia già allora, ma ci sono meccanismi da mettere in moto per accelerare la risposta ai bisogni della popolazione, ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione». E a tal proposito, Garavaglia ha sollevato una serie di interrogativi aperti, come per esempio: «L’università sta formando personale in quantità e qualità adeguati ai bisogni che cambiano con l’invecchiamento della popolazione?», riferendosi alla crescente necessità di assistenza domiciliare.

Ha messo sotto accusa la burocrazia: «sta uccidendo il Ssn, non solo la mancanza di personale e di finanziamenti».

E ha evidenziato il bisogno di un riordino radicale che deve partire dal tenere insieme il sociale e il sanitario sotto un’unica regia: «dobbiamo riscrivere un ministero della Sicurezza sociale per avere una filiera non a silos».

Grillo: serve una visione politica di ampio respiro

«La politica deve dichiararsi su alcuni aspetti, in primis se considera o no il servizio pubblico una garanzia di perseguimento della solidarietà» ha evidenziato Grillo. Aggiungendo: «La conferenza Stato-Regioni è un buco nero, normata male, gestita male, non c’è accountability, chi ha la responsabilità dichiarata e pubblica delle scelte fatte? Tutto viene deciso là. La regionalizzazione è un dato di fatto, non si può rinunciare a gestirla e a migliorarla. Ci vuole una politica di ampio respiro».

Mandorino: la sanità pubblica al centro del confronto dialettico

«È fondamentale rimettere al centro del dibattito e del confronto dialettico il futuro della sanità pubblica, per scongiurare la profezia che si auto avvera, dandola ormai per persa, e per non arrendersi all’ipotesi di salvarla. Ma deve esserci la volontà di governare questa complessità. Manca un piano sanitario da tanti anni e a proposito dei Lea – ha sottolineato Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva – non li abbiamo mai sperimentati come strumento di governo dinamico di gestione della salute, li abbiamo fermi a venti anni fa, se non fosse che alcune regioni hanno già applicato forme di riduzione o ampliamento de facto».

E sul fronte delle risorse, ha ricordato per esempio che Cittadinanzattiva ha avanzato la proposta di «eliminare la tassazione agevolata alle aziende che producono tabacco riscaldato per destinare fondi a chi fornisce assistenza domiciliare» e ha denunciato la «riforma fantasma per la non autosufficienza: l’unica misura prevista è un bonus integrativo alle persone over 85 con Isee inferiore ai 6.000 euro».

Scopinaro: meno burocrazia, più investimenti

«Il nostro Ssn scricchiola, ma garantisce almeno nei casi di urgenza e di malattia molto grave assistenza e possibilità di accedere alle terapie, in alcuni casi anche avanzate e innovative. È un sistema complesso e in quanto tale richiede risposte complesse».

Scopinaro, presidente di Uniamo, ha sottolineato la necessità di «agire su più fronti per far sì che il Ssn continui a funzionare». Bisogna affrontare il nodo della burocrazia («per i malati rari, se non vai al centro di competenza non hai la ricetta»), della prevenzione, dell’aderenza alle terapie («quanti farmaci sprecati ogni anno e quanta salute sprecata perché non c’è aderenza alla terapia») e dell’efficienza («cura significa anche non far perdere tempo al cittadino, all’operatore, per esempio nel prendere gli appuntamenti»). «Va affrontata una scelta organizzativa per efficientare il sistema, a parità di risorse, e dobbiamo trovare il modo di garantire a tutti le nuove terapie che arriveranno nel futuro: l’investimento in sanità deve aumentare, altrimenti non ce la faremo».

Sirchia: «temo i ribaltoni»

«Dobbiamo stare attenti a non sottovalutare quello che il Ssn offre. Che è moltissimo. Indubbiamente ha dei problemi, ma ancora non nega cure, farmaci e presidi anche costosissimi. Dobbiamo concentrarci quindi su alcune criticità senza fare dei ribaltoni, perché la storia dei ribaltoni in Italia non ha avuto grandi successi». Così Sirchia ha sottolineato l’importanza del nostro servizio sanitario e della salute pubblica: «è un fattore anche economico di sviluppo e progresso che ci stiamo giocando».

«Dobbiamo investire in prevenzione primaria a basso costo, in politiche motivazionali del personale, controllare e regolamentare i determinanti commerciali della salute che hanno effetti enormi sulla salute e dobbiamo recuperare risorse dalle aziende che attentano la salute pubblica» ha detto Sirchia, riferendosi da un lato alle proposte commerciali che hanno indotto, per esempio, cambiamenti nelle nostre abitudini alimentari («non siamo più un Paese a dieta mediterranea: la gente mangia il doppio, pesa il doppio e ha i danni dell’iperalimentazione che pesa sul bilancio della nazione») e dall’altro alle multinazionali del tabacco.

Keypoints

  • 380.000 famiglie italiane si impoveriscono per spese sanitarie, oltre 2 milioni rinunciano alle cure.
  • La spesa pubblica in sanità è inferiore del 44% rispetto ai Paesi UE avanzati.
  • Servirebbero almeno 40 miliardi per riallineare spese, organici e stipendi.
  • C’è carenza di personale infermieristico e medico, soprattutto in aree disagiate e complesse.
  • La spesa sanitaria privata ha raggiunto i 43 miliardi di euro.
  • Le liste d’attesa penalizzano soprattutto le fasce più deboli.
  • Le regioni del Sud soffrono maggiormente le difficoltà di accesso ai servizi sanitari.
  • Necessaria una manutenzione strutturale per garantire il diritto alla salute.
  • Ex ministri della Salute propongono soluzioni per un sistema sanitario più sostenibile.

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