Paracchi (Genenta): «Servono investimenti robusti per trasformare la scienza in impresa»

Paracchi (Genenta): «Servono investimenti robusti per trasformare la scienza in impresa»

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Simona Regina

Perché l’abbiamo scelto
Pierluigi Paracchi è il  nostro innovatore del mese. Coniugando scienza, finanza e impresa, punta a trasformare la ricerca biotech in trattamenti innovativi. Guida Genenta Science nello sviluppo di terapie geniche per i tumori.

La forza della scienza, il coraggio delle idee, la visione imprenditoriale e il desiderio di poter fare la differenza nella vita delle persone. Su questo si fonda Genenta Science, unica società italiana quotata al Nasdaq di New York, il mercato azionario tecnologico del mondo.

Pierluigi Paracchi è il ceo della biotech che è impegnata nello sviluppo di terapie cellulari per i tumori e che ha fondato insieme al professor Luigi Naldini, direttore dell’Istituto SR Tiget di Milano, un pioniere nel campo della terapia genica e cellulare.

Componente del consiglio di presidenza di Assobiotec e moderatore del Tavolo di lavoro per l’internazionalizzazione delle industrie del comparto biotech (istituito dal ministero degli Affari Esteri), Paracchi è il nostro innovatore del mese e in questa intervista parliamo di come trasformare la scienza in impresa. In un’impresa che può cambiare la vita di molti pazienti.

Con la laurea in economia e la passione per la finanza, a 29 anni Paracchi intraprende la strada del venture capitalist, combinando il suo background in finance all’intraprendenza imprenditoriale e all’esperienza maturata nella gestione di fondi di investimento in società quotate. «Investivo già in alta tecnologia, non solo biotech, ma anche biotech. E così è stato naturale iniziare nel venture capital. Era il 2002».

Fonda Quantica Sgr, società di VC che ha investito nella biotech EOS, acquisita dall’americana Clovis Oncology per 470 milioni di dollari. Poi Altheia Science, che punta a cambiare le sorti delle persone con malattie autoimmuni.

Paracchi investe. Guarda al futuro. Va alla ricerca di idee valide da supportare. Per trasformare la scienza in impresa.

E nel 2014, dall’incontro con Naldini, nasce Genenta. Due visionari e un’intesa che innesca un’intensa attività, di ricerca e sviluppo. E di raccolta di capitali.

Genenta nasce come spinoff dell’Ospedale San Raffaele di Milano con l’obiettivo di sviluppare una terapia basata sull’ingegnerizzazione delle cellule staminali del sangue per il trattamento dei tumori. Cosa significa essere il regista della “fiction scientifica che sta diventando realtà”? Così The Economist aveva definito l’ambizione degli scienziati del Tiget.

«Stiamo vivendo una sfida imprenditoriale straordinaria: pensare di portare una terapia innovativa, cellulare, a persone che ne hanno un bisogno enorme, è una motivazione straordinaria. Non solo per me, ma per tutto il team di Genenta. Pensa all’emozione quando, per la prima volta, il nostro chief medical officer ha dato il via al trattamento del primo paziente, quando cioè la sperimentazione è arrivata in fase clinica».

Parliamo in effetti di terapie che possono avere un enorme impatto sociale, cambiando la vita dei pazienti e dei loro familiari e la storia delle malattie oncologiche. Ma come si crea valore dalla ricerca scientifica?

«Scienza, ricerca e brevetti sono il punto di partenza. Il brevetto è proprio il riconoscimento di un risultato scientifico evidentemente valido e straordinario. Ma non è un’impresa, non è una venture. La magia è riuscire a trasformare la scienza di grandissima qualità, la copertura brevettuale globale, in un prodotto. Perché il valore lo crei facendo impresa e sviluppando un prodotto, che diventerà una terapia che, un giorno, darà beneficio ai pazienti e sarà un blockbuster».

Perché, appunto, nel caso di Genenta parliamo di malattie, come il tumore al cervello, che sono orfane di cure.

«Sì. E per questo abbiamo già ottenuto la Orphan Drug Designation sia dall’FDA che dall’EMA. Sulla base dei dati sviluppati finora, ci è stata riconosciuta la possibilità, cioè, di un’accelerazione regolatoria, poiché il bisogno di terapie in questo settore è talmente forte che le autorità riconoscono il buon lavoro fatto e ci supportano per poter andare più veloce».

Quali sono i punti di forza e i limiti del Venture Capital italiano nel settore Life Science?

«Quando siamo partiti, nel 2014, non c’era nessun investitore specializzato, nessun venture capital biotech. Adesso la storia è cambiata. Nel corso degli ultimi due anni sono nati diversi VC, grazie all’intervento governativo attraverso CDP VC, anche se sono ancora di dimensioni relativamente piccole, non del tutto adeguate per consentire alle società partecipate di competere a livello globale in settori avanzati, come le terapie cellulari in oncologia».

Cosa deve fare allora l’Italia come Sistema Paese per essere realmente competitiva e protagonista dell’innovazione?

«Come illustriamo nel rapporto del Tavolo di lavoro per l’internazionalizzazione del biotech, è fondamentale individuare le patologie di interesse nazionale, i big killer (patologie cardiovascolari, tumori, patologie respiratorie, cronico-degenerative e infettive), e su queste la politica e le agenzie di investimento governative, come CDP VC e ENEA Tech e Biomedical, devono concentrare gli investimenti.

In particolare, bisogna puntare sulle tecnologie emergenti che curano queste patologie: terapie geniche, terapie cellulari, mRNA, anticorpi, ecc. Bisogna quindi individuare le company italiane che stanno sviluppando tali tecnologie e su di esse concentrare le risorse».

In altre parole, è importante non disperdere le risorse?

«Esattamente. A Boston il round iniziale di una startup è intorno ai 53 milioni. Invece in Italia il round medio di una start-up è di circa 5 milioni, ma il paziente italiano non costa meno. Parliamo di un grosso gap. Allora le Enea Tech e le CDP Venture Capital dovrebbero alzare il livello e spingere i pochi campioni nazionali, affinché abbiano la chance di competere. Anche perché, è meno rischioso mettere 50 milioni in una company che ce la può fare, che 10 milioni su 5 company che non vanno da nessuna parte».

Elena Cattaneo sottolinea l’urgenza di dotare il nostro Paese di un’agenzia nazionale per la ricerca, tu hai lanciato la Strategia nazionale per le Life Sciences. Entrambi strumenti per rendere più competitiva la ricerca italiana, evitando la dispersione di risorse e rendendo più efficace il sistema di finanziamento e sviluppo della ricerca made in Italy.

«È la direzione necessaria da prendere, perché la mancanza a monte di una strategia penalizza il sistema. Per questo, come Tavolo, ci hanno chiamato per indirizzare il Governo: la politica deve dare un chiaro indirizzo, individuare le patologie, le tecnologie e le company, affinché poi un’agenzia possa investire le risorse in maniera adeguata».

Intanto, a proposito di risorse, è recente la notizia dei 20 milioni di euro di Enea Tech a supporto di Genenta Science e di Temferon, terapia che punta a riprogrammare il microambiente tumorale e favorire le risposte delle cellule T.

«Spero sia un segnale importante rispetto a ciò che dicevo prima. Perché servono capitali robusti per accelerare l’innovazione. E in Italia, come in Francia o Usa, per trattare i pazienti con tecnologie così avanzate e competitive servono un sacco di soldi. Questo è il mercato e queste sono le terapie avanzate. E il nostro è un progetto industriale che può arrivare a cambiare la vita ai pazienti. 20 milioni, quindi, sono average e non straordinari. Questo è il necessario salto mentale da fare. Non dovremmo stupirci, cioè, se Enea Tech domani arriverà a mettere 50, 80, 100 milioni in una company che fa attività clinica».

E a proposito di clinica, quanto sarà rilevante il coinvolgimento delle industrie del pharma per portare effettivamente ai pazienti la vostra terapia?

«Sarà necessariamente importante perché, vista la complessità di sviluppo di un prodotto come il nostro, se vuoi arrivare a una sperimentazione globale e se vuoi arrivare velocemente al paziente, devi fare un’alleanza con una grande o una media pharma che ti aiuti nello sviluppo finale e nella distribuzione del prodotto».

E adesso domanda d’obbligo per il nostro innovatore del mese: cosa significa per te innovare?

«Innovazione non è alta tecnologia. Noi facciamo emerging technology, super high tech, molto competitiva, globale, che rappresenta un valore strategico per il Paese».

Keypoints

  • Pierluigi Paracchi è il ceo di Genenta Science, unica biotech italiana quotata al Nasdaq
  • Genenta sviluppa terapie geniche innovative per il trattamento dei tumori
  • La società è nata come spinoff dell’Ospedale San Raffaele di Milano
  • Per trasformare la ricerca in impresa il brevetto è il punto di partenza, ma il valore si crea sviluppando un prodotto
  • In Italia serve una strategia nazionale e servono investimenti robusti per rendere il settore biotech competitivo a livello globale
  • Innovare significa avere una leadership globale in tecnologie emergenti

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