Sclerosi sistemica e tumori: l’importanza della sorveglianza oncologica

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Simona Regina

Perché ne stiamo parlando
La sclerosi sistemica è oggi trattabile grazie ai farmaci biologici, che hanno migliorato qualità e aspettativa di vita. La ricerca punta su strategie personalizzate, screening mirati e approcci multidisciplinari per ottimizzare diagnosi e terapia. Ne parliamo con Maria De Santis (Humanitas)

«Questa malattia, che colpisce soprattutto le donne, fino a qualche anno fa era incurabile. Ora la prognosi è migliorata. Grazie a nuovi farmaci è diventata infatti trattabile. Ma c’è ancora tanto lavoro da fare». Maria De Santis, professoressa di Reumatologia all’Humanitas University, va dritta al punto nell’evidenziare gli enormi passi avanti fatti nel trattamento della sclerosi sistemica, senza sottovalutare però quanto ci sia ancora da fare per far sì che la migliore ricerca si traduca nella migliore pratica clinica.

Uno studio finanziato dalla Fondazione Humanitas per la Ricerca, coordinato da De Santis, sta facendo luce per esempio sulla maggiore incidenza dei tumori nei pazienti con questa malattia autoimmune che, oltre a colpire la pelle, può compromettere organi vitali come polmoni e cuore. In questa intervista, De Santis evidenzia quanto sia importante un approccio multidisciplinare.

Professoressa, innanzitutto chiariamo che cos’è la sclerosi sistemica…

«La sclerosi sistemica è una malattia rara autoimmune del tessuto connettivo : questo vuol dire che gli anticorpi attaccano le strutture dell’organismo anziché agenti esterni cattivi. Le manifestazioni cliniche della malattia riguardano in particolare la pelle, che si indurisce (soprattutto mani e volto), ma anche altri organi interni, come polmoni e cuore. La fibrosi e le mani che cambiano colore sono le caratteristiche più importanti di questa connettivite».

Cosa prevede l’attuale panorama terapeutico?

«Non esiste ancora un farmaco specifico per la sclerosi sistemica, ma alcuni farmaci sviluppati per altre malattie autoimmuni si sono rivelati efficaci. Nel tempo sono stati testati diversi farmaci immunosoppressori e i nuovi farmaci biologici e alcuni di questi si sono rivelati utili anche per questa malattia che, da non curabile, è diventata una malattia trattabile. E così, rispetto all’era precedente ai farmaci biologici, quando non c’era alcuna terapia a eccezione dei vasodilatatori è migliorata la qualità di vita dei pazienti e ne è aumentata l’aspettativa di vita».

A proposito di aspettativa di vita, dato che la compromissione dell’apparato cardiaco è un aspetto cruciale della malattia, l’uso di dispositivi come il pacemaker si è rivelato salva-vita per i pazienti con sclerosi sistemica.

«Il coinvolgimento cardiaco è la seconda causa di morte nella sclerosi sistemica. L’organo più frequentemente colpito è la cute, poi c’è l’apparato gastrointestinale, ma è il coinvolgimento dei polmoni, che spesso vanno incontro a fibrosi polmonare col rischio di insufficienza respiratoria, e del cuore, che può andare incontro a aritmie che possono essere fatali, a determinare la prognosi e a ridurre l’aspettativa di vita dei pazienti sclerodermici. In merito alla compromissione dell’apparato cardiaco, la ricerca ha dimostrato che il paziente sclerodermico che ha un impegno cardiaco può andare incontro a morte improvvisa. Sapere quale paziente è a rischio di aritmie fatali e impiantare un pacermaker o un defibrillatore impiantabile può salvare la vita. Lo studio dell’interessamento cardiaco nella sclerosi sistemica, iniziato da noi tanti anni fa al Policlinico Gemelli e su cui abbiamo continuato a lavorare qui in Humanitas, ci ha consentito di individuare e studiare il fenotipo dei pazienti che potrebbero beneficiare di questi dispositivi, che vengono usati anche da soggetti a rischio di aritmie dovute ad altre malattie del cuore».

La sclerosi sistemica è associata anche a un aumento del rischio di cancro?

«Sì, come molte altre connettiviti, anche la sclerosi sistemica è associata a una aumentata incidenza di tumori che quindi ne influenzano la prognosi. È fondamentale quindi sensibilizzare i reumatologi allo screening oncologico: le neoplasie sono più frequenti nei malati di sclerosi sistemica rispetto alla popolazione generale. Il paziente sclerodermico che ha anche un tumore necessita di un approccio terapeutico definito di concerto con l’oncologo: alcuni immunosoppressori non possono essere somministrati a chi ha un tumore e le nuove immunoterapie oncologiche spesso potrebbero essere non indicate per chi ha già una malattia autoimmune».

Perché i pazienti con sclerosi sistemica hanno un rischio cancro più elevato rispetto alla popolazione generale?

«Non sappiamo esattamente perché, ma sappiamo che il sistema immunitario non è deputato solo a difenderci dagli agenti esterni, ma dovrebbe sorvegliare anche contro l’insorgenza di cellule tumorali. Il che vuol dire che, se una cellula si trasforma in maligna ed esprime delle proteine alterate, il sistema immunitario dovrebbe distruggerla. Ma il sistema immunitario di chi ha malattie autoimmuni non fa bene il suo lavoro: non sorveglia sull’insorgenza di tumori e invece aggredisce le strutture sane del nostro corpo. Quindi un sistema immunitario deficiente può portare in contemporanea a malattie autoimmuni e tumorali. Noi, come illustriamo sulla rivista RMD Open, abbiamo cercato di individuare proprio i marcatori di associazione tra sclerosi sistemica e tumori, in particolare gli autoanticorpi specifici che potrebbero segnalare un maggiore rischio di tumore». 

Per attuare una sorveglianza oncologica mirata nei pazienti?

«Esattamente. Individuare i fenotipi più a rischio di sviluppare un tumore consente di personalizzare la sorveglianza oncologica. Non tutti i pazienti con sclerosi sistemica devono essere sottoposti a screening di secondo o terzo livello, ma chi presenta determinati autoanticorpi potrebbe trarne grande beneficio evitando che il tumore venga diagnosticato troppo tardi. Sappiamo bene, infatti, quanto sia importante la diagnosi precoce per la tempestività dei trattamenti e garantire una maggiore aspettativa di vita. E, d’altro canto, stabilire il fenotipo del paziente che va monitorato in modo mirato è importante anche per non fare a tappeto esami di screening che non sarebbero sostenibili economicamente.

Inoltre, abbiamo osservato che uno degli immunosoppressori più spesso utilizzati per il trattamento della sclerosi sistemica, il micofenolato, non solo non sembra associato ad una aumentata incidenza di tumori, ma anzi sembra un fattore protettivo. Se questa osservazione verrà confermata, potrebbe cambiare il modo in cui concepiamo l’uso degli immunosoppressori. In altre parole, non tutti gli immunosoppressori vanno sospesi se insorge un tumore».

Ora come procede la vostra ricerca?

«Abbiamo presentato il nostro progetto al comitato scientifico di Eustar, registro internazionale che raccoglie i dati di più di 20mila pazienti con sclerosi sistemica di tutto il mondo, in modo da validare ciò che abbiamo scoperto e definire il fenotipo di paziente più a rischio, per inserire nelle linee guida queste informazioni che possano migliorare la presa in carico dei pazienti. Perché le linee guida sono strumenti importanti che consentono di avere un orientamento comune e di procedere sulla base delle evidenze scientifiche. A quale trattamento sottoporre un paziente se ha anche un tumore e quali screening oncologici fare e a chi: queste informazioni non sono ancora contemplate nelle linee guida. Il nostro lavoro può essere allora importante per evitare screening oncologici non necessari e, al contempo, assicurare esami mirati ai pazienti più a rischio».

Ha spiegato prima che le terapie devono essere identificate di concerto da reumatologi e oncologi: l’approccio multidisciplinare è sempre più fondamentale anche nella gestione della sclerosi sistemica?

«Il lavoro multidisciplinare è fondamentale per i nostri pazienti. La medicina oggi è così vasta che è fondamentale collaborare tra specialisti. E la sinergia tra reumatologi e oncologi, così come la raccolta e la condivisione dei dati nei registri internazionali, consente di ridurre sprechi e di avanzare nella ricerca. Il futuro della ricerca e della medicina clinica passa attraverso progetti scientifici internazionali e collaborazioni multidisciplinari, come il nostro progetto SScCaRE, che mira a definire strategie sempre più personalizzate per la cura della sclerosi sistemica».

Keypoints

  • La sclerosi sistemica è una malattia autoimmune che colpisce in particolare le donne e si manifesta in particolare con un coinvolgimento fibrotico di pelle, polmoni e cuore.
  • Nuovi farmaci biologici hanno reso la patologia trattabile, migliorando la prognosi.
  • L’incidenza di tumori nei pazienti con sclerosi sistemica è superiore alla media.
  • La sorveglianza oncologica personalizzata può migliorare la diagnosi precoce e la presa in carico del paziente.
  • L’approccio multidisciplinare tra reumatologi e oncologi è cruciale per la terapia.
  • Maria De Santis è professoressa di Reumatologia all’Humanitas University e studia la sclerosi sistemica grazie a finanziamenti della Fondazione Humanitas per la Ricerca

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