«Mi sono avvicinato al settore della radiologia a fine anni ’80, quando ho acquisito il 25% di un’azienda lombarda di apparecchiature radiologiche che stava per fallire. Nel giro di due anni l’ho riportata in utile e l’ho venduta. Mentre stavo eseguendo il passaggio di consegne, i tecnici progettisti mi hanno chiesto se volevo rimanere nel settore, acquisendo un’altra società. Si chiamava Technix, aveva solo due dipendenti. Ho accettato la sfida, era il 1990: oggi quella società è parte di un gruppo da 40 milioni di euro di fatturato (dati 2023) che impiega 146 persone».
Aniello Aliberti è il presidente e amministratore delegato del gruppo IMD (International Medical Devices), sede a Grassobbio (Bg): progetta, sviluppa e commercializza in tutto il mondo sistemi per diagnostica a raggi X, i cosiddetti “portabili radiografici”. Prodotti che oggi includiamo nel settore del “medtech”. Nel 2023 si è quotata sul mercato Euronext Growth Milan. «Tra apparecchiature complete e generatori RX, siamo i leader europei per numero di pezzi prodotti ogni anno: circa 6mila».
Cosa sono i portabili radiografici e perché sono importanti?
«Sono le apparecchiature per raggi X trasportabili su ruote. Si dividono in due grandi categorie: portabili “da corsia”, quelli che vediamo nelle corsie degli ospedali e che servono a fare le radiografie ai pazienti nelle sale di degenza; e portabili “da sala operatoria”, detti anche “archi a C”, di supporto al chirurgo durante le operazioni. Questo è il segmento in cui stiamo concentrando la maggior parte dei nostri sforzi».
Perché?
«Nei portabili da sala operatoria le esigenze sono diverse a seconda delle aree: chirurgia generale, ortopedia, neurochirurgia, angiografia, cardiologia… In cardiologia e urologia, per esempio, occorre una potenza radiologica molto elevata per poter esaminare i dettagli dell’organo del paziente, ma anche una buona elaborazione dell’immagine, che si ottiene grazie ai software».
Come si sono evoluti gli apparecchi radiologici negli ultimi 30-40 anni?
«Il problema di qualsiasi apparecchiatura radiologica consiste nel fatto che per ottenere un’immagine chiara si deve necessariamente spingere sull’acceleratore dei raggi, che sono ionizzati e invasivi. Il nostro mantra è ottenere l’immagine più nitida possibile con una dose radiologica più bassa possibile. Oggi rispetto al passato si può localizzare molto di più i raggi, tanto che quando ci si sottopone a una radiografia non è più necessario l’uso dei teli piombati».
Che ruolo ha avuto il digitale?
«Ha rappresentato l’innovazione più importante: fino a 15 anni fa le immagini venivano stampate sulla pellicola radiografica, oggi sono tutte digitali. Con un duplice vantaggio: miglioramento della nitidezza dell’immagine fino al 60-70%, ed eliminazione del problema dello smaltimento delle pellicole».
Qual è il segreto per essere competitivi?
«Quando ho iniziato questa avventura, per i primi due anni ho investito tutto in ricerca e sviluppo. Venivo da un settore completamente diverso, ero un tecnico e dovevo imparare. Per la progettazione delle prime macchine ho chiesto aiuto a dei luminari della radiologia. Ancora oggi quello che ci distingue dai concorrenti è la ricerca applicata: su 146 persone in IMD, 30 lavorano nella ricerca e sviluppo. Siamo tra i pochi a produrre i generatori RX».
Il 70% del vostro fatturato è estero. Esportate principalmente in Germania e Belgio ma anche in paesi come India e Cina. Fate parte dell’Italia delle Pmi che ha una grande forza all’estero?
«Nel medtech l’Italia gioca la sua partita a testa alta. In particolare in Lombardia c’è la più grande concentrazione di aziende di apparecchiature radiologiche, non solo nella provincia di Bergamo dove siamo noi ma anche in quella di Lecco, a Mandello Lario, dove ha sede un’altra azienda importante, la Gilardoni. Il 90% dei nostri fornitori si trova nel raggio di 30 km dalla nostra sede. Oltre a quello lombardo, in Italia c’è il distretto di Mirandola, in provincia di Modena, che produce dispositivi medici di consumo».